08 Dic Fotografia analogica
Pubblicato alle 12:28
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Ci sono oggetti che vengono da lontano, hanno attraversato molte mani, hanno viaggiato a lungo scrivendo storie che mai conosceremo.
Non saprò mai dove è stata questa macchina, qualche graffio su dorso tradisce la sua età, che volendo si può calcolare, con il criptico sistema inventato da Victor. Ma in fondo è una signora e si sa, non è educato chiedere l’età ad una donna.
Molti rideranno pensando a cosa mi serva una macchina in acciaio, senza batterie, ma ingorda di grossi rulli di pellicola.
La fotografia di oggi è fatta di fantastiche macchine digitali, concentrati di elettronica che permettono a moltissimi di creare immagini accattivanti. Per anni ho inseguito questi computer con ottica, l’ultimo modello era sempre superato qualche mese dopo la sua creazione. In effetti il cambio di modello dell’ultima reflex permetteva di avere un diaframma in più di luce, ma davvero ci serve quel diaframma? Davvero la nostra creatività si amplifica con questa tecnologia?
Con queste domande in testa ho cominciato a chiedermi cosa davvero fosse importante in fotografia.
Il punto su cui girava la mia riflessione era il verbo su cui si basa la fotografia: immortalare.
Cosa significa fotografare se non congelare l’attimo e renderlo eterno, immortalare un’espressione del soggetto, immortalare un sorriso.
Poteva un oggetto che codifica ciò che vede in una serie di bit essere sinonimo di eterno? Poteva parlare di immortalità una macchina che dopo due anni è obsoleta?
No, per parlare di eternità serviva un viaggio più lungo, serviva un oggetto che fosse fuori dal tempo. Una macchina che fosse un’icona, uno strumento perfetto assolutamente meccanico. Un grado di perfezione che la rendesse qualcosa di irraggiungibile, così affidabile che fu portata dalla NASA nelle sue missioni lunari.
Parliamo di una ragazza svedese il cui nome è leggenda nel mondo della fotografia: Hasselblad.
Non uno dei nuovi modelli digitali, ma l’originaria versione a pellicola.
Una fotografia agli antipodi del mondo attuale, una slow photography fatta di riti ormai dimenticati. Una ricerca di immagini che abbiano il sapore di realtà, di vera fotografia, 12 scatti per un rullo e non una scheda da oltre mille colpi.
Non c’è esposimetro a cui demandare il calcolo e la visione della luce, non c’è un mirino che amplifica la visione reale, non c’è il motore per ricaricare lo specchio.
Una fotografia lenta, fatta guardando la realtà nel pozzetto mentre appare da una messa a fuoco manuale.
Gesti che il fotografo nato con il digitale non conosce, gesti che vengono da un’antica tradizione, quando si iniziava la gavetta con un compito di fondamentale importanza, caricare il magazzino con il rullo.
Scatti in bianco e nero, grandi classici della fotografia, immagini che saranno sviluppate a mano, nel buio di una camera oscura che sa di acido e di fissaggio.
Ma forse è questa la fotografia, la magia di un pezzo di pellicola da cui lentamente appare quell’attimo che abbiamo immortalato. Qualcosa che si materializza lentamente sulla superficie, perchè in fondo fare questo lavoro non è solo premere un pulsante quando la macchina fa tutto da sola.
Provate l’emozione di una fotografia che non sia solo un file, provate il brivido di una tecnica artigianale per immortalare i vostri attimi più belli. Provate la fotografia analogica.